Claudio raccontaci la tua storia professionale:
Sono laureato in ingegneria meccanica e durante l’università mi sono appassionato al calcolo Strutturale. Per curiosità mi sono avvicinato a Fortran e alla modellazione numerica FEM (Modellazione Elementi Finiti) arrivando a creare un intero codice di calcolo unendo vari componenti presi qui e lì e dandogli consistenza. Per coerenza vado a lavorare in un’azienda, la Meccanica Padana Monteverde di Padova, che fa trasmissioni di potenza per tram, fuoristrada e imbarcazioni, comprese quelle da gara. Dopo un paio d’anni mi accorgo che fare calcoli tutto il giorno mi annoia essendo un processo ripetitivo, poco creativo. Volevo di più.
Cambio azienda e vado in Breton come progettista e dall’uso del tecnigrafo passo alle prime workstation per progettare con CAD e il 2D; dopo poco sento che anche questo lavoro mi va stretto e torno nella prima azienda che era intanto diventata parte del gruppo multinazionale ZF con più di 30.000 dipendenti (ora ne conta più di 60.000) specializzato nelle trasmissioni e nei cambi di varie tipologie di mezzi. Inizialmente mi affidano la parte di sperimentazione con la possibilità di progettare un intero reparto prove e poco dopo, per la necessità aziendale di dare un nuovo impulso allo sviluppo dei prodotti, all’età di trent’anni, mi promuovono Responsabile Tecnico di tutto lo sviluppo prodotto. Mi ritrovo a gestire risorse più senior di me oltre a miei compagni di università e nel 93-94 vengo coinvolto in un mega progetto, avveniristico per quei tempi, di Lean Transition. Qui mi avvicino quindi al Project Management Waterfall, iscrivendomi anche al PMI; inizio ad usare Project Scheduler 6 su Mac ma senza trovarne il beneficio sperato. Questo sarà uno stimolo nei miei successivi traguardi.
Dopo qualche anno in cerca di sfide nella complessità mi sposto in un’azienda, la Gruppo Bertolaso, che si occupa di impianti di imbottigliamento alla guida di un team di 50 persone. Dopo poco c’è uno scisma delle due famiglie titolari dell’azienda e mi ritrovo a gestire tutta la parte tecnica dell’azienda (progettazione, produzione, sistemi informativi) e 250 persone.
Le cose vanno bene e la fiducia acquisita mi dà modo di superare i limiti tecnologici incontrati, guidando l’azienda verso l’acquisto un sistema web based di PLM (per la gestione del ciclo di vita del prodotto, ndr), un sistema web di Project Management sempre waterfall ma con accesso a tutte le risorse, soluzione innovativa per un’azienda di importanti dimensioni ma pur sempre nata nella provincia veronese. Dopo qualche anno, come al termine di tutti i momenti magici, capisco con l’arrivo delle giovani leve della famiglia titolare che è il momento di lasciare il passo, avendo accentrato su di me troppo potere, troppe persone e attività.
Mi sposto a Bologna in una azienda del grande gruppo industriale, Maccaferri. Anche qui mi accorgo delle resistenze nell’utilizzo del software web based che avevo portato dalla precedente esperienza, nonostante mi aspettassi dai bolognesi un approccio diverso. Dopo poco mi ritrovo coinvolto in uno stravolgimento dirigenziale ed essendo nella cordata sbagliata a 45 anni mi ritrovo tagliato fuori dal gruppo. Apro la partita iva ed entro nella Bonfiglioli Consulting, specializzata in consulenze Lean, galvanizzato dall’esperienza positiva per il suo utilizzo nell’efficientamento produttivo manifatturiero.
In realtà dopo un po’ scopro che Lean non funziona bene nello sviluppo prodotto. Il rammarico però mi porta a documentarmi, leggere libri di gestione progetti e, intorno al 2007 vengo folgorato dalla lettura del libro di Henrik Kniberg “Scrum and XP from the Trenches” che mi avvicina ad Agile. Comincio a proporre l’uso di Scrum Board in un’azienda importante e completamente Lean, e la cosa piace così tanto al titolare e al team che dopo due anni di uso intensivo di post it, anche per carenza di superfici da supporto dopo avere tappezzato tutte le pareti dell’ufficio tecnico, mi chiedono se esista un software per fare questo. Ovviamente non nel 2008, così scrivo io stesso le specifiche della soluzione, contatto degli sviluppatori Java e lo finanzio, rivendendolo alla società richiedente e fornendolo gratuitamente alle aziende clienti di Bonfiglioli per le consulenze di Agile Product Development. Proprio da consulente entro in contatto con Breton (Brevetti Toncelli), e dopo due mesi, anche a causa della scomparsa del precedente Direttore Tecnico in un tragico incidente, vengo assunto con questa qualifica. È il 2010 e sono ancora qui.

Come sei riuscito a introdurre Agile in un’azienda di impronta tradizionalista?
L’azienda è guidata dai due figli del fondatore e quello che svolge il ruolo di Presidente è un appassionato di sviluppo prodotto e con un’indole liberale e visionaria. L’azienda è votata all’innovazione e ha depositato diversi brevetti, molti dei quali dovuti alla spinta della famiglia e di lui stesso. Proprio per questo mi chiede una strategia a lungo termine per garantire questa continuità innovativa nel tempo anche dopo una sua futura uscita dall’azienda e, dopo sei mesi, torno da lui con una mappa concettuale e un modello volto a bilanciare le due tensioni di un’impresa: l’Exploitation (quindi l’efficientamento produttivo tipicamente Lean di ispirazione Toyota) e l’Exploration, ovvero la necessità di innovare nella complessità (di ispirazione Apple); Condizione fondamentale per permettere l’evoluzione e fare bene innovazione è uscire dalla concezione patriarcale (sintomatico come viene chiamato il titolare, el Paron) e permettere a tutte le idee buone di prevalere anche sulla linea aziendale, a prescindere dal promotore. Accettare quindi gli errori delle persone, accollandosi un rischio che porterà a un vantaggio competitivo dovendo vagliare una moltitudine di idee provenienti da persone diverse anziché da una ristretta oligarchia.
Raccontaci come sono cambiati i processi risolvendo la dicotomia Lean vs Agile.
L’azienda innovava il prodotto ma non altrettanto i processi. Convinco così gli imprenditori a introdurre un consulente Lean mentre io porto in azienda Giulio Roggero che sviluppava software industriale in modalità Agile per la Siemens. Riprendo il workflow regolato dal mio software di pianificazione sviluppato negli anni della consulenza e iniziamo a usare un sistema ibrido volto a ottimizzare i tempi di produzione grazie a un uso intensivo di Lean e innovando il prodotto tramite Agile Scrum.

Proprio quest’ultima tensione ci ha permesso di migliorare la progettazione sviluppando, in collaborazione con il Marketing, la gestione del Portfolio, altra mia grande passione. Faccio una premessa: nell’hardware ci sono vincoli che non si possono abbattere facilmente. L’MRP, che è il sistema per gestire la costruzione basata sul lead time delle componentistiche, non si può alterare. Se non hai il componente x nella piazzola di montaggio nel momento giusto il processo implode. Non potendo quindi lavorare sulla produzione con cicli iterativi frutto di una pianificazione a scala ridotta, abbiamo lavorato a monte riducendo il costo del ritardo accumulato nella progettazione dei prodotti.
La Breton quando ha un’idea nuova la vuole mettere subito sul mercato, così quando incontrava un cliente a cui vendere quel prodotto lo sviluppava. In breve tempo lo vendeva anche ad altri ma rendendo di fatto estremamente oneroso la messa a punto perché si dovevano fare spesso dei miglioramenti e continue modifiche in produzione. La mia idea è stata quella di ribaltare la concezione, ovvero fare pochi prodotti, che concilino esigenze del cliente e della produzione, ma in velocità. Siamo andati per questo in due direzioni: per velocizzare la progettazione è stato fondamentale ricorrere, grazie a importanti fondi del MISE (ministero Sviluppo Economico), a una trasformazione digitale dell’ufficio tecnico con lo scopo principale di creare in modo efficace e veloce nuovi prodotti. Abbiamo ridotto i tempi di sviluppo grazie ai tanti gemelli digitali introdotti ed ai sw di simulazione software 3D – questa fase è assimilabile a quella di prototipazione del software anche se stiamo parlando di macchine industriali – con demo pronte ogni 15 giorni e che ci permettono di immettere velocemente nel mercato 1 o più prototipi riducendo i costi per farlo. Tutto questo in aggiunta all’impiego di additve manufacturing per ridurre i tempi di costruzione quando necessario. Ovviamente abbiamo aggiunto nuove figure deputate alla progettazione integrandole nel team esistente, vedi figura 3.

Per far sì che i nuovi prodotti vengano progettati in maniera iterativa, seguendo un proficuo scambio di feedback, sono stati affiancati ai Capi Gruppo – che sovrintendono i lavori delle singole linee di produzione, i migliori esperti di progettazione e competenze: abbiamo scelto le persone più consapevoli del mercato e coraggiose, facendole diventare dei veri e propri PO. Questi, lavorando con il Marketing, hanno il polso della situazione di ciò che il mercato e i clienti vogliono e possono guidare la progettazione di conseguenza, facendo uscire esattamente ciò che il mercato chiede; gerarchicamente non sono i capi dei team, ma ispirano il loro lavoro. La capacità per queste persone di essere sempre in continua tensione per trovare la soluzione innovativa è stata accelerata anche dalle tecniche di User Stories Mapping e la gestione tramite il mio SW di diverse Board, con cicli ibridi di sviluppo lineare e iterativo, tutte connesse tra di loro in base ai diversi gruppi di progettazione.

I Capi Gruppo, che prima facevano entrambe le cose (quindi creare le specifiche e indirizzare la produzione), vengono elevati a Stakeholder e mentori dei team per i loro ambiti di competenza, sedendo in tribuna d’onore nelle demo ricorrenti che vengono presentate ogni 15 giorni. Sono loro responsabili di accettare o respingere il prodotto e il debito tecnico che ne scaturisce. In caso di accettazione questo viene messo in produzione.

Che risultati di business ha raggiunto questo importante cambio processuale?
La costituzione dell’ingengeria di vendita con funzioni importanti a supporto delle vendite, ciò che in informatica è l’area di Pre Sales. Nessun Software di successo si vende da solo, come sarebbe stato possibile farlo con sistemi così complessi? In Breton questa è stata un’autentica rivoluzione: a parità di numero di venditori, con l’introduzione dell’ingegneria di vendita, nel giro di quattro anni duplichiamo il fatturato, in alcune linee di business è stato addirittura triplicato. Le offerte escono a ritmi serrati: per farlo cerchiamo di razionalizzare il catalogo prodotti di serie che purtroppo non è esiguo come quello di Apple) e di sviluppare alcuni degli optional solo quando entra un ordine cliente. Questo per me è l’esatto compromesso delle due tensioni, Exploitation (quindi affidabilità e velocità nella produzione) ed Exploration ovvero lo sforzo costante nell’innovare i prodotti senza sovraccaricarsi di costi e ritardi onerosi. Per fare questo però è stato necessario cambiare l’assetto del team; usando una metafora è come nel MotoGP: se hai tutto sotto controllo stai andando piano. I capigruppo per la reputazione guadagnata negli anni sono meno disposti a prendersi dei rischi e di fatto possono frenare la parte di esplorazione che invece, affidata a dei giovani jazzisti della progettazione, ha potuto raggiungere risultati impensabili con il vecchio assetto.
Agile sta permettendo quindi di consolidare la conoscenza acquisita e spingerla oltre, anche in un contesto difficile e frenante come può essere la provincia del nordest e non la silicon valley Californiana
Il team e la sua visione come è cambiata?
Questo passaggio non è stato indolore, soprattutto per i progettisti più anziani e i Capi Gruppo che rimpiangevano la perdita di ruolo gerarchico; in questo è stato fondamentale il supporto degli Scrum Master, in primis di Daniela Rinaldi che ora lavora in Vimar e che, come consulente, ha svolto questo ruolo per alcuni anni rendendo possibile l’adozione del giusto mindset e quindi la comprensione di un ruolo aziendale nuovo (successivamente rivestito da Giovanni Melis, dopo ben 4 anni di rodaggio del nuovo assetto). Hanno inoltre imparato a correre dei rischi e gestire l’errore per evolvere. Trovo molto più esplicativo il paragone che contrappone la visione manageriale dello sviluppo prodotto – visto come una gara di Formula 1 – dove puoi ottimizzare tutti i tempi ma su percorsi noti e già battuti, rispetto a una Parigi Dakar, dove è necessario fronteggiare grandi imprevisti, essere pronti al cambiamento ed essere flessibili focalizzandosi sull’efficacia per sopravvivere al mercato. Agile inoltre permette l’autorganizzazione, ognuno può dimostrare il suo valore a ogni Sprint e essere focalizzato sull’obiettivo. Per questo cerchiamo, oltre all’audacia, anche persone non per forza con competenze verticali sul prodotto così da trovare soluzioni originali e distruttive quando la diversità è opportunamente incanalata.
Nel futuro dove pensi vi porterà l’Agile?
L’anno scorso, in una tappa importante di questo percorso, abbiamo creato una nuova macchina utensile partita a luglio 2018 e sviluppata completamente in modalità agile anche nelle fasi costruttive. Abbiamo fisicamente iniziato a lavorare i pezzi su quella macchina utensile meno di un anno dopo: mentre ancora progettavamo facevamo le prove di lavorazione (che sono quelle più severe) ed è stata presentata alla fiera di Hannover del 2019 arrivando a vendere sei macchine con i disegni definitivi, con una velocità di consegna senza eguali. Nel futuro inizieremo a sviluppare e montare queste macchine in un capannone dedicato (in modo un po’ evocativo l’abbiamo chiamato la Fabbrica nella Fabbrica) costruendo gli uffici di reparto vicino alla produzione per avvicinare i progettisti al cuore pulsante di quanto sviluppato. L’obiettivo è quello di creare ad alta velocità nuove macchine con un modello Agile industriale producendo tutta documentazione per permettere di fatto una produzione di serie. Vedo inoltre del potenziale nelle logiche di High performance Team se estese anche in altri reparti come il Marketing e le Vendite. Ma la strada per Dakar è ancora lunga.